La scelta di un’azienda di partecipare ad una gara d’appalto rappresenta a tutti gli effetti un importante investimento in termini di tempo, risorse e mezzi che presuppone la volontà di un ritorno economico nel medio-lungo periodo, derivante sia dall’utile di impresa connesso all’esecuzione dei lavori sia dalla possibilità di incrementare la propria esperienza lavorativa e curriculare per poter poi partecipare a gare che prevedano requisiti diversi.
Pertanto, l’illegittima aggiudicazione di un appalto comporta, per l’azienda esclusa, un danno emergente derivante, ordinariamente, dalla somma di tre aliquote:
- Mancato guadagno connesso all’esecuzione dei lavori
- perdita di chance e danno curriculare
cui vanno sommate eventuali altre voci di danno, il cui nesso di causalità con la mancata aggiudicazione va tuttavia dimostrato in maniera compiuta e stringente in fase dibattimentale.
Il mancato utile spetta integralmente all’impresa illegittimamente esclusa solo qualora quest’ultima dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi; in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento. Il risarcimento del danno richiede la prova, a carico dell’impresa ricorrente, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto e dell’inutile immobilizzazione dei mezzi tecnici, non altrimenti utilizzabili. L’imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili. Pertanto il non rigoroso assolvimento dell’onere della prova di non aver potuto utilizzare diversamente maestranze e mezzi è sufficiente – secondo i pronunciamenti del Consiglio di Stato – a giustificare la riduzione a circa la metà dell’utile mancato dichiarato dall’impresa.
L’impresa ingiustamente privata dell’esecuzione di un appalto può altresì rivendicare, a titolo di lucro cessante, la perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al “curriculum” professionale, da intendersi sia come immagine e prestigio professionale sia come l’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare
Il danno curriculare ed il danno per perdita di chance sono spesso valutabili come danni coincidenti, perché sono entrambi volti a rivendicare, a titolo di lucro cessante, la perdita della specifica possibilità, concreta, per l’impresa ingiustamente esclusa, di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale.
Per tali ragioni, il Consiglio di Stato reputa risarcibile il danno curriculare ed il danno per perdita di chance come un unicum quantificabile in via equitativa. La Giurisprudenza riconosce storicamente una somma in una percentuale variabile tra l’1 ed il 5 per cento, applicata in alcuni casi sull’importo globale dell’appalto ed in altri sulla somma già liquidata a titolo di lucro cessante.
Qualsiasi ulteriori voci di danno richieste a titolo di risarcimento dall’azienda danneggiata (come ad esempio l’ulteriore danno emergente per finanziamenti non ottenuti) dovranno derivare da un serio e stringente nesso di causalità tra il pregiudizio lamentato e la mancata aggiudicazione dell’appalto, da provare compiutamente in sede di ricorso.
Infine, nell’ambito della quantificazione del risarcimento dovrà necessariamente essere considerata la rivalutazione monetaria, da calcolare per il periodo intercorrente tra la firma del primo contratto di appalto (dell’azienda illegittima) e quella di deposito della decisione del giudice del risarcimento stesso.
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Fonti:
- Consiglio di Stato, V, n.4136 del 31 agosto 2017
- Consiglio di Stato, V, n. 3858 del 13 settembre 2016
- TAR Lazio, Sez. I, sentenza n. 2966 del 7 marzo 2016
- Consiglio di Stato, VI, n. 4283del 15 settembre 2015
- Consiglio di Stato, III, n. 1839 del 10 aprile 2015
- Consiglio di Stato n. 4376 del 03 settembre 2013
- Consiglio di Stato, VI, 9 giugno 2008, n. 2751
- Consiglio di Stato, 18 marzo 2011, n. 1681